Testimonianza di Elisa, 54 anni a 35 anni si è ammalata di tumore.

A 35 si è ammalata di tumore alle ghiandole linfatiche (Hodgkin) con recidiva dopo un anno e mezzo. A distanza di 5 anni la diagnosi di carcinoma duttale invasivo al seno. All’esordio della prima malattia era sposata con due bambini di 6 e 10 anni.

“L’oncologo mi aveva convocato per comunicarmi due notizie, una bella e una brutta. Quella brutta era che avevo un tumore di Hodgkin, quella bella che si trattava di un tipo di tumore trattabile, probabilmente guaribile. Da quel momento per me è cominciata una nuova vita… una vita che facesse in qualche modo i conti con quella passata e nello stesso tempo andasse vissuta nella sua quotidianità, ma certamente con uno sguardo, seppur timoroso, verso il futuro…
” Era settembre, subito dopo l’inizio delle scuole. Elisa si sveglia una mattina con una strana rigidità al collo e al momento non ci fa caso. Ha altro a cui pensare. Accompagna i bambini a scuola e si reca al lavoro. Dopo 15 giorni un rigonfiamento ben visibile tra clavicola e collo, la induce a rivolgersi ad un reumatologo, un medico che già conosceva, “una persona tranquilla, che sapeva ascoltare…”.  

Le prescrive alcuni esami e le propone subito una biopsia, ma senza allarmarla. Lei torna a casa comunque un po’ preoccupata (“mai avrei pensato ad un tumore…”, dice), ma non può confidarsi con nessuno. Non con il marito, febbricitante a letto con l’influenza e in cura per una forte depressione; non con i genitori, separati, con cui condivideva da anni un rapporto di grande conflitto; non con la nonna che era in fin di vita. Si reca in ospedale il giorno dopo, da sola, per sottoporsi all’esame. Ricorda che il chirurgo e il suo assistente, persone di grande gentilezza e professionalità, durante il prelievo, parlando tra loro della natura profonda dei linfonodi, riusciranno purtroppo, ad infonderle un senso di sconforto e di pessimismo… L’assistente le chiederà l’età e poi se ha famiglia e dei figli.. Ottimi professionisti, a suo dire, che però suscitano in lei una sensazione inquietante che interpreta come una minaccia per il suo futuro. Il mondo sembra crollarle addosso e pensa per la prima volta alla morte…

“Tornai a casa con il collo fasciato e dovetti parlarne con mio marito. Lui non sembrò preoccuparsi troppo, anche perché era ancora febbricitante. Poi 5 giorni di attesa, un’eternità: “ un tempo interminabile, dove ogni gesto, ogni parola, erano carichi di significati nuovi, impensabili solo alcuni giorni prima, e dove l’immaginazione mi portava inevitabilmente ad ingigantire le cose…”

L’esito della biopsia è positivo. Di colpo Elisa si ritrova catapultata in un mondo parallelo:

“ Da una parte c’ero io,  SOLA e confusa; dall’altra i miei familiari, gli amici, i colleghi: c’era mio marito con le sue fragilità. Avevo, e ho ancora, un grande senso di protezione nei suoi confronti. I miei bambini che avevano bisogno di me, in particolare mia figlia che è sempre stata asmatica e in quel periodo aveva una forte tosse ed era vivacissima; mio papà, uomo forte, tutto d’un pezzo, che avevo sempre visto come l’uomo che risolveva tutto, ma che di fronte alla mia malattia mostrò la sua fragilità. A posteriori capii che soffrì tantissimo. Poco tempo dopo morirà per un tumore scoperto in fase molto avanzata. Mia mamma (che oggi non c’è più), segnata da una vita infelice e, ancora a distanza di molti anni, sofferente per la perdita di una sorella di 19 di cui parlava sempre; anche se non l’avevo mai conosciuta il suo ricordo finì per segnare anche me. Ovvio in quel momento pensare che sarei morta come lei… E che dire di amici e colleghi? Diedi loro la notizia, alcuni mi furono molto vicini, altri si allontanarono, forse per un eccesso di pudore o di discrezione. Per certi versi un pezzo della mia vita se ne andò via così”

… Elisa è disperata. Per lei tumore allora era sinonimo di morte e basta. Cerca informazioni su quella malattia trovando dati e statistiche non aggiornati. La sua preoccupazione cresce, teme la morte, pensa ai suoi figli, a un ‘dopo’ per loro:

“come cresceranno senza di me?”

Una collega cerca di scuoterla e la sprona a reagire proprio per amor loro. Il suo aiuto si rivelerà prezioso. L’oncologo, statistiche recenti alla mano, le dimostra che è un tumore che può GUARIRE.
E’ una donna, e come tante donne è abituata ad affrontare di petto la vita. Sente di avere abbastanza risorse e si fa forza. Marito e figli con la loro vicinanza le sono di grande aiuto.  Elisa dopo aver affrontato le terapie e una splenectomia sta bene. Il linfoma sembra sparito. Ma la gioia dura pochi mesi e la malattia si ripresenta. Per lei è un colpo ma c’è troppo poco tempo per soffermarsi a pensare. Si affida ad una terapia ad alto dosaggio sorretta da un trapianto autologo di cellule staminali. Gli effetti collaterali sono pesanti ma li affronta con animo sereno mentre la sua famiglia cercherà di organizzarsi al meglio durante i suoi ricoveri in ospedale. La malattia viene infine debellata.
Sfogliando l’album dei ricordi del suo cuore pensa ad una vicina di letto in ospedale, malata terminale, con cui condivise molte delle sue preoccupazioni, una sorta di angelo che in quel momento le tese una mano spronandola ad andare avanti. E alla forza che le davano i suoi bimbi quando andavano a trovarla: Clara con la cappa rossa come le guance, che le  chiedeva impaziente quando sarebbe tornata a casa. Edoardo, il suo ‘ometto’ riflessivo e giudizioso, che a casa preparava la colazione per la sorellina e la accompagnava a scuola … Passano 4 anni in cui riesce a riprendere in mano la sua vita e tenta di recuperare ciò che le sembra le sia stato sottratto in quel periodo. Samuele, suo marito, sta meglio. Ora Edoardo e Clara hanno 16 e 12 anni. Lei ora ha 42 anni ed è contenta di vederli crescere. Ma casualmente nel corso di un controllo le viene proposto di sottoporsi ad una mammografia che evidenzierà un piccolo nodulo. Si rivelerà poi un carcinoma duttale invasivo. Uno strappo alla serenità riconquistata. Uno strappo per tutti. Edoardo e Clara sono adolescenti. Tacciono, sono arrabbiati, non ci stanno più. Samuele si dà da fare, ma è dura! Incredibilmente supererà anche tutto questo. Elisa comincia a nutrire alcuni sensi di colpa nei riguardi del figlio maggiore Edoardo, a suo dire forse responsabilizzato troppo presto o addirittura trascurato a beneficio della sorellina, più bisognosa di cure perché più cagionevole di salute e molto più vivace. Per questo motivo, una notte, nel periodo in cui era molto sofferente e convinta di morire, lui aveva 11 anni, gli scrive una lettera, una sorta di testamento spirituale. Un racconto intriso di ottimismo e di fiducia verso il futuro, un INNO alla VITA. Lei la ritroverà solo al compimento del suo ventesimo anno, per caso in cantina, chiusa in un libro accanto alla scatola azzurra dei suoi ricordi. Si stupirà, malgrado tutto, di ESSERCI ANCORA dopo tutto quel tempo e di essere lì a rileggerla proprio nel giorno del compleanno del figlio.

Oggi sono passati altri 18 anni da quel lontano 1993. I figli di Elisa sono adulti e hanno una loro vita. Samuele, il marito, sta meglio. Si dichiara “fortunata” anche se non ama sentirselo dire dagli altri. Ha visto crescere i suoi figli e ha partecipato al matrimonio “da favola” di Edoardo, il suo primogenito. Ha acquietato quel suo bisogno di sapere e di documentarsi, quel continuo cercare il come e il perché. Accetta di essere così e accetta ciò che le è capitato, anche se c’è in lei un certo  rammarico per quei suoi figli che in tenera età sono in qualche modo stati privati della spensieratezza con cui dovrebbero crescere dei bambini:

“Sono convinta che un’infanzia felice sia il sostegno di una vita, il pozzo da cui attingere nei momenti di difficoltà… ”

E ricorda con dolore la rabbia di sua figlia che si lamentava di avere una mamma sempre ammalata, che le faceva impressione senza capelli. Che non trovava mai le parole giuste per confortarla e per darle una mano ad affrontare quel periodo difficile e tanto speciale che è l’adolescenza. Ma oggi è una giovane donna di 24 anni che lavora e progetta un suo futuro. E’ fiera di questo Elisa,  sente di avere compiuto il proprio lavoro, quello per cui si è tanto adoperata.

“ Forse nonostante tutto sono riuscita a trasmettere anche a lei un certo ottimismo nei riguardi della vita. Poco tempo fa alla vigilia dell’ultimo intervento mi ha detto: ‘tu ce la farai mamma, sei una ‘roccia’! ‘ Nessuno sa se ce la farò, ma sono contenta che lei mi abbia detto così. Come ho trovato impagabile l’attimo in cui si è aperta la porta della mia camera di ospedale e mi è apparso Edoardo: mi sono sentita subito molto meglio ed ottimista. Mi sento un po’ tiranna a volte perché vorrei più attenzioni, vorrei essere coccolata, soprattutto da Edoardo e Clara, ma so con tutta me stessa che è giusto vivere e che per farlo occorre girare pagina. Loro esigono di vivere la propria vita, con tutte le speranze e il bello che possono desiderare. Io sento il bisogno di raccontare ciò che loro non meritano più di sentire. La malattia, anzi, le malattie, hanno anche messo a dura prova la mia vita di coppia e Samuele ne ha fatto le spese più di chiunque altro. Un prezzo altissimo. Malgrado tutte le difficoltà ci vogliamo ancora bene. Questo a mio modo di vedere dà grande valore alla nostra storia … A volte provo pena per chi mi deve sopportare, perché i ricordi compaiono come fantasmi e mi crogiolo nella mia autocommiserazione, ma poi tutto passa e ricomincio, volto pagina, o almeno ci provo, come fanno e devono fare Edoardo e Clara.”

Elisa per alcuni anni è stata volontaria presso un’associazione oncologica. Attualmente ha sospeso questa sua attività per dedicarsi ad altri interessi, ma soprattutto

“per voltare pagina…”.

 Testo elaborato da Désirée DellaVolta, giornalista, 30 settembre 2013