Quando termina il periodo dei trattamenti attivi, la paziente si ritrova “finalmente sola”, lontana da medici, infermieri e ospedali, e con il compito di dare un senso alla sua nuova condizione, per integrarla gradualmente nella propria vita.

Il tempo tra la fine delle terapie e il primo controllo medico è emotivamente difficile da gestire dalla donna, che non si sente ancora efficiente come prima della malattia (stanchezza, attività fisica e professionale a tempo parziale, dolori, …), e che ha un maggiore tempo libero, che favorisce l’emergere di sentimenti d’inadeguatezza, rabbia di sentirsi meno efficiente di prima, incomprensione e inutilità.

“Nella fase acuta puoi contare su molte risorse, tante persone si stringono attorno a te. Amici e parenti ti coccolano, t’incoraggiano, ti trasmettono la forza per aiutarti a combattere.
Ma quando comincia la routine, i controlli ogni tre mesi, la stanchezza sempre in agguato, la lotta quotidiana per sentirsi “normali”, spesso si è soli…”
E. Iannelli, Cambiare la vita con il cancro, In: Boldrini, Smerrieri, Goffi, Ho vinto io, Giunti Demetra, 2009

È il momento del bilancio dell’esperienza vissuta per poterla integrare nella propria vita. Questo processo può far riaffiorare dubbi e paure riguardo al futuro (esami di controllo, possibilità che il tumore si ripresenti, …), che devono essere accolti dal personale curante.

In questa fase emerge solitamente la richiesta di aiuto a livello psicologico, che è utile accogliere per poter sostenere la donna a considerare e progettare il proprio futuro, contenendo ansie e timori riguardo alla ripresa di malattia.

 

Testo redatto da Gabriella Bianchi Micheli, Psicoterapeuta e Psiconcologa FSP

Ultima revisione – febbraio 2017