“Dopo la prima operazione e una biopsia decisero di operarmi di nuovo. A seguire un’infezione con febbre altissima e molti dolori… Fui sul punto di crollare.

In fondo sentivo che potevo farcela. Potrà sembrare strano ma prima di entrare in sala operatoria pensai di quelle cellule impazzite: vado, le ammazzo e torno !!!” (Francesca)

L’intervento chirurgico, tanto atteso dopo la diagnosi, può creare, come ogni tipo di operazione, preoccupazioni relative all’integrità fisica, paura di svegliarsi durante l’intervento chirurgico, timori di dolori post-operatori e ansie di morte (non risvegliarsi dopo l’anestesia), ma solitamente è accolto dalla paziente e dalla sua famiglia come un sollievo e un momento di svolta.

Prima dell’intervento chirurgico, il tumore è dentro il corpo, dopo è altrove. L’intervento è spesso definito come “liberatorio”, “risolutivo”, “il punto finale dopo la scoperta di malattia”.

Grande è in seguito la sorpresa di fronte a proposte di terapie preventive (adiuvanti) quali la radioterapia, la chemioterapia, le terapie anti-ormonali (endocrine) o le terapie biologiche mirate (terapie a bersaglio).

“… capire se posso decidere di fare una mastectomia per eliminare il tumore che mi hanno scoperto nel seno destro dieci giorni fa. Si tratta di un aspetto della diagnosi che nessuno ha voluto discutere con me: che cosa significa avere una tetta sola in un universo ossessionato dalle tette.

Tener conto di questo fattore nel decidere se fare o no la mastectomia, sembra un’eresia. Ma per me, stranamente, ora è il fattore decisivo. Le argomentazioni in favore dell’operazione, dell’asportazione del seno, sembrano assolutamente ovvie – sarebbe tanto più sicuro – finché non comincio a pensare a come sarebbe la mia vita di ventisettenne con un seno solo … ho sempre dato per scontato di possedere due tette.”

Geralyn Lucas, Perché ho messo il rossetto il giorno della mia mastectomia, Tea ed., 2006

La risposta psicologica al risultato dell’intervento chirurgico dipende dal tipo di scelta operatoria (mastectomia, quadrantectomia, tumorectomia), ma anche dalla personalità della paziente.

L’intervento di ricostruzione immediata può aiutare psicologicamente ma tanto dipende anche dal risultato ottenuto che, anche se molto buono, dovrà essere accolto dalla donna come una nuova parte di sé, che le ricorderà ogni giorno quanto accaduto. La ricostruzione non cancella il dolore per l’amputazione ma può rendere meno difficile l’accettazione della malattia.

Il personale curante deve saper accogliere le lamentele e le difficoltà di accettazione degli interventi di ricostruzione, che necessitano di tempo per essere accolti dalla donna e dal suo eventuale partner.

 

Testo redatto da Gabriella Bianchi Micheli, Psicoterapeuta e Psiconcologa FSP

Ultima revisione – febbraio 2017